lunedì 23 giugno 2014

CENT'ANNI....

A cavallo della storia
Prendendo spunto da uno dei temi della maturità di quest’anno, appuntamento che ogni anno è in grado di risuscitare sensazioni sopite di ansia anche in chi quel traguardo l’ha già superato da un pezzo, ho provato a svolgere un esercizio di scrittura. Mantenersi in allenamento è un gioco e una sfida.

1914/2014

Cent’anni è un lasso di tempo davvero considerevole. Il premio nobel colombiano Gabriel Garcia Marquez, in un medesimo arco temporale, riuscì mirabilmente a narrare le vicende di ben sette generazioni nel suo romanzo “Cent’anni di solitudine”, uno dei più significativi della letteratura del Novecento.
Nel corso del ‘900, così come in ogni epoca storica, si sono susseguiti avvenimenti straordinari e importanti; vicende che, come zattere di esperienza umana, ci hanno traghettato proprio dove siamo arrivati adesso, sulla riva del 2014.
Dal 1914 al 2014 ne è passata di acqua sotto i ponti! Anzi migliaia di ponti, materiali e simbolici, sono stati abbattuti e poi ricostruiti in questi ultimi cento anni. Non solo opere di costruzione di strade, ferrovie e città, ma nel corso di questi cent’anni si è alzata, a volte lentamente a volte impetuosamente, una vera e propria onda di evoluzione che ha interessato ogni ambito di vita sociale e individuale proprio perché in ogni ambito c’erano sfide da cogliere e “maniche da arrotolarsi”.
All’indomani della fine della prima guerra mondiale lo scenario italiano era alquanto desolante: ogni cosa doveva essere rimessa al suo posto. C’erano industrie da convertire, debiti da pagare, malcontenti da sedare.
I focolai non risolti si tramutarono in un secondo incendio a livello mondiale.
I nostri nonni dovettero poi affrontare l’avvento del nazismo, assistere all’ascesa del fascismo; conobbero l’orrore dei campi di concentramento, diventando, per le generazioni successive, preziosi depositari di una memoria da non dimenticare.
Nella seconda metà degli anni cinquanta, a metà del percorso centenario che stiamo cercando di esaminare, iniziò la fase del miracolo economico: aumento della popolazione urbana, sviluppo dell’industria e forte fenomeno immigratorio interno dal Sud agricolo al Nord industrializzato. Purtroppo il rinnovamento tecnologico era ancora una lontana chimera e la questione sociale si deteriorava ulteriormente seminando scie di malavitosa risoluzione.
Dovettero arrivare gli anni Ottanta perché l’Italia potesse conoscere finalmente una fase di ripresa.
Fu in questo periodo che aumentarono i lavoratori autonomi e le donne occupate, il mondo intero assistette alla crescita statunitense; si diede avvio al rinnovamento tecnologico dell’industria e prosperavano i nuovi investimenti.
Forse, considerato come si è poi svolto il successivo ventennio e vista la situazione che ci troviamo a fronteggiare in questo momento storico, si trattò di una ripresa più apparente che reale, più di facciata, superficiale; un miracolo che non andò a incidere sugli assetti sostanziali della società.
Creò un benessere materiale che solo all’apparenza poteva diventare appannaggio di tutti.
Se dal punto di vista dell’evoluzione tecnologica possiamo considerarci sbarcati quasi su un altro pianeta rispetto a quello che conobbero i nostri antenati, dal punto di vista dell’evoluzione sociale e civile troppi passi da gambero hanno tenuto fermo il percorso verso la modernizzazione e la maturazione del nostro popolo.
A conti fatti, possiamo dire che cent’anni fa non si poteva dare nulla per scontato e per andare avanti era necessario che l’uomo, i singoli uomini, puntassero sul loro coraggio e sulla loro intraprendenza. Erano le singole eccellenze che dovevano darsi da fare per condurre la comunità verso nuovi traguardi. Ora che tutto viene dato per scontato perché tutto è apparentemente risolvibile e raggiungibile, almeno a livello individuale, occorre far leva sullo spirito comunitario per non disperdere ciò che la comunità umana ha saputo, in tutti questi anni, conquistare.
Se volessimo raffrontare le sfide di ieri e di oggi, quelle che l’uomo si trovava davanti cent’anni fa si chiamavano guerra, ricostruzione, fame, miseria, ignoranza, analfabetismo. Oggi, oltre a dover ancora fronteggiare questi mali universali, che inesorabilmente fanno parte del tessuto umano, di ogni epoca e di ogni luogo, l’uomo del 2014 deve inoltre affrontare gli effetti collaterali dei suoi stessi progressi: inquinamento, collasso urbanistico, speculazione, avarizia materiale.
Ogni epoca si porta appresso il suo bagaglio di conquiste, ma anche il fardello di ciò che non è stato fatto in maniera giusta ed equilibrata.
Ci sono cose che nel breve periodo danno grande risultato, ma nel lungo raggio rivelano le loro anomalie e debolezze.
Nel corso degli anni ci siamo resi consapevoli della grandezza del nostro patrimonio artistico e culturale, abbiamo sfruttato il nostro capitale di creatività e di saperi e questo ci ha permesso di essere presenti al tavolo delle maggiori potenze del pianeta.
Ma quelli che sono i mali e le vergogne ereditate dalla storia recente restano come macchie indelebili nel nostro tessuto sociale: la piaga della criminalità organizzata, le inefficienze dell’amministrazione pubblica, la litigiosità delle classi politiche, un fievole senso civico e la scarsa attenzione al rispetto dell’ambiente. 
Nel corso di questi cento anni, insomma, gran parte delle questioni vissute e affrontate dai nonni e dai bisnonni di oggi, rappresenta tuttora una sfida per i loro nipoti e per le generazioni alle porte. Marquez raccontava i “cent’anni di solitudine” di una famiglia segnata da un destino ineluttabile; noi potremmo raccontare i cent’anni di un popolo vissuto a cavallo tra grandi progressi ed eterna barbarie. Sono i cent’anni di un popolo che è caduto, si è rialzato, ha vinto ed ha perso, che ha conosciuto ogni sorta di vento politico, ha issato bandiere con ogni tipo di simbolo e coltivato speranze che sono poi quelle di ogni tempo. 
Sicuramente abbiamo molte più opportunità rispetto a quelle che c’erano cent’anni fa. Ma questo è nella natura stessa dei tempi e del progresso. E’ qualcosa che potremmo definire scontata, quasi banale. Non lo è, invece, la possibilità effettiva, concreta di mettere poi a frutto quelle opportunità per avanzare in termini di benessere generale e non soltanto elitario.
Ciò che fa la differenza è la capacità di fare in modo che quelle opportunità siano di tutti e che contribuiscano ad accorciare le disuguaglianze sociali e a creare maggiore benessere, non solo in termini monetari, ma anche in termini di qualità della vita e attenzione alla persona.
Da questo punto di vista ne abbiamo ancora molta di strada da compiere per arrivare, chissà, alle soglie del prossimo centenario con un bagaglio di occasioni più ricco e un fardello di errori meno pesante. Ma di questo ne potranno parlare solo le generazioni future.

Un libro importante
Dopo quest’esercizio di scrittura, direi che è giunto il momento di andare in cucina per prepararci una merenda o la colazione di domani…che ne dite di biscottini con farina di miglio, succo d’arancia e semi di sesamo? Senza latte, uova e burro…

Biscotti con miglio, arancia e semi di sesamo

Ingredienti:
-          4 cucchiai di farina di miglio
-          4 cucchiai di farina di farro integrale
-          ½ bustina di lievito biologico per dolci
-          4 cucchiai di zucchero di canna integrale
-          succo di 2 arance
-          2 cucchiai di semi di sesamo
-          50 ml di olio di semi di mais


Mescolate in una ciotola farine, zucchero, lievito e un pizzico di sale.
In un altro recipiente unite il succo d’arancia, l’olio e i semi di sesamo.
Versate i liquidi nelle farine e mescolate con cura, aiutandovi, per impastare bene, con altra farina.
Il composto è morbido. Va lavorato con delicatezza: prendete un po’ di impasto alla volta e ricavatene dei biscottini (nella forma che più vi piace…io ho fatto delle stelline). Se occorre aiutatevi aggiungendo altra farina. Infornate a forno caldo a 170^ per 15/20 minuti.


giovedì 12 giugno 2014

....RIMUOVERE LA POLVERE DALLE SUPERFICI...

...leggendo...
John Fante invitava a chiedere alla polvere ciò che non si riesce a ricevere dalla vita, dalle cose, dalle persone che ci circondano; forse essa è in grado di suggerire una risposta razionale e soddisfacente agli interrogativi umani?
Perché c’è ingiustizia nei sentimenti? Perché alcune persone si votano alla sofferenza? Perché esistono gli emarginati, il male, i terremoti, la miseria, la povertà? Perché un sogno non può essere trasferito nella realtà solo per mano dello scrittore che gli dà forma, voce e quindi forza?
Perché Arturo Bandini ama Camilla, che invece ama un altro uomo, tra l’altro immeritevole e che lo respinge?
In uno spazio compreso tra l’albergo sgangherato in cui vive, le strade polverose di Los Angeles e luoghi tanto squallidi quanto pregni di veridicità, e in un tempo che è quello della Grande Depressione, l’aspirante scrittore dà corpo ed anima a personaggi perduti e irrequieti, folli e disperati, e con essi interagisce, ora odiandoli, ora amandoli, ora inseguendoli, ora tentando di salvarli o di cancellarli, proprio come il deserto capace di spazzare via il ricordo col vento, il caldo e il freddo.
In ogni tempo, in qualunque città si trovi a vivere la sua esistenza…l’essere umano è continuamente esposto alla grettezza, sua e di coloro in cui inciampa, lungo il suo cammino.
La passione, l’ispirazione, la creazione letteraria possono supplire alla fame di risposte e al vuoto di fama dell’aspirante scrittore che qui diventa emblema dell’uomo che tenta, con tutte le sue forze e i suoi mezzi, di barcamenarsi nella giungla del vivere, alla disperata ricerca di un riscatto, di una rivendicazione sociale.
E se ciò che si desidera non lo si trova nella realtà…perché non inventarselo? Dentro ad un romanzo tutto può andare esattamente come vorremmo.  Ad una condizione: che a scriverlo siamo noi stessi, con la penna o con l’immaginazione.
E un romanzo può anche diventare un quadro, una musica, una poesia, un ricamo.
Un’esistenza di mera superficie è esposta al logorio del tempo; in più ci sono polveri sottili che ogni giorno si depositano dentro e fuori le pareti del nostro spirito. L’espressione artistica, quando propria ed autentica, è lo strumento in grado di donare colore, vivacità ed entusiasmo.  E’ l’universo parallelo dove coltivare  tutto ciò che ci dona energia per poi impiegarle in quest’altro nostro universo, che sta sopra e sotto i nostri piedi. 
Ora, tra una pagina e l’altra del vostro romanzo o tra un’ispirazione artistica e l’altra, che ne dite di stuzzicare qualcosa?
Anche in cucina può trovare sfogo la propria libera espressione.
Vi propongo delle polpettine di quinoa alle verdure e cupoletta di gelato ai ceci.


...cucinando...
CUPOLETTA DI GELATO AI CECI
Ingredienti:
-          1 confezione di ceci lessati
-          1 yogurt di soia al naturale
-          2 cucchiai di olio evo, un pizzico di sale
-          Limone
-          Origano

Basta frullare gli ingredienti e versare il composto nei pirottini di carta. Lasciate in freezer un quarto d’ora/venti minuti e poi servite, decorando con scorzette di limone e semini di lino e/o girasole.

POLPETTINE DI QUINOA
Ingredienti:
-          quinoa lessata
-          carote, zucchine, patate
-          pangrattato
-          lievito alimentare in fiocchi
-          erbe aromatiche
-          olio, un pizzico di sale
-          salsa tamari

Lessate la quinoa (per un tocco esotico, come liquido potete usare metà dose di acqua e metà dose di latte di cocco).  Vi consiglio di prepararla in anticipo (la mattina o anche la sera prima) così si amalgamerà meglio.
Lessate le patate. Quando cotte, sbucciate, schiacciatele e fate raffreddare.
Grattuggiate le carote e le zucchine. Fatele appassire in un tegame con un filo d’olio ed erbe aromatiche a scelta.  Insaporite con la salsa tamari.
Riunite poi la quinoa, le verdure e le patate in un ampio recipiente. Aggiungete il lievito alimentare in fiocchi. Formate delle polpettine, passatele nel pangrattato, ponetele in una teglia con la carta da forno e passatele in forno caldo per 10/15 minuti.