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Locandina del film |
Una “Sodoma e Gomorra” dei tempi odierni la Roma che purtroppo, a sfregio
delle sue bellezze artistiche e naturali, fa da palcoscenico alla
rappresentazione cinematografica di “Suburra”, noir diretto da Stefano Sollima,
tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo.
Un film magistrale, o meglio, di aspirazione magistrale scritto da
Stefano Rulli e Sandro Petraglia e magnificamente interpretato, tra gli altri,
da Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola, Alessandro Borghi e
Greta Scarano. Avvertenza per la visione del
film: indurire lo stomaco prima di sprofondare in poltrona negli abissi del
male. Questi i dati oggettivi.
Quanto, invece, alle note soggettive, personalmente reputo non
solo i protagonisti, ma tutti i personaggi del film veri, crudi, esasperati,
credibili.
L’unica piccola riserva sento di farla all’interpretazione di
Claudio Amendola, che risulta meno bruta, rude e spietata di quanto ci si
poteva aspettare dal suo personaggio.
Per il resto, non ci viene risparmiato nulla della
rappresentazione della brutalità di cui l’essere umano può essere capace quando
soldi, potere, sesso, vizio e bramosia diventano le uniche variabili di
un’equazione impazzita.
VITA : MORTE = MALAFFARE : BARBARIE
Sullo sfondo di una Roma battuta da una pioggia scrosciante e nell’arco
temporale dei primi dieci giorni del mese di Novembre 2011 è in corso
un’apocalisse che investe tutti i palazzi del potere e delle istituzioni e che mette gli uni contro gli altri uomini, interessi
e bande rivali.
Scorre il sangue sulle strade battute dal malaffare, si consumano
vendette atroci all’interno di gruppi dove l’unica legge riconosciuta è quella
del più potente.
Dentro lo sguardo (stupefacente) di Favino, politico corrotto
avvezzo a sesso, eroina e voti di scambio, c’è riflessa tutta la gamma di
“Grandi Bruttezze” raccontante nel film: corruzione, ricatti, deliri di onnipotenza,
ingordigia, malvagità, vendette senza scrupoli.
Nel film ci sono corpi sciupati, consumati dalla droga e dagli
eccessi; espressioni allucinate; occhi abbacinati; ci sono le braccia armate di
un mostro potente che uccide senza scrupoli; ci sono uomini deboli che si fanno
corrompere e uomini forti che si credono onnipotenti; ci sono corpi venduti,
anime acquistate come merce e sagome senza corpo e senza spirito usate come
marionette da un sistema che tutto ingoia; ci sono inseguimenti, sparatorie,
esecuzioni capitali. C’è poi la testa di quel medesimo mostro che possiamo
immaginare stretta tra le mani laide di personaggi ben vestiti che si limitano
a passare carte, voti o soldi e che, dall’alto di una insospettabilità a dire
il vero sempre più evanescente, decretano comunque, con la loro scempiaggine e
la loro intemperanza, sentenze di morte senza possibilità di appello.
Ci sono le gabbie, quelle vere, dove per esempio un cattivo può tenere
in cattività un bulldog ignaro della legge del contrappasso o dove una tossica
può rifugiarsi in un disperato tentativo di trovare una via di scampo e quelle
simboliche, dove sedimenta la bestialità umana; le prigioni che scaturiscono da
sentirsi sempre in affanno per la spasmodica ricerca di un cibo che, in verità,
lascia sempre affamati e delusi.
La trama si snoda nell’oscurità solitaria di strade cittadine,
negli accecanti e frequentati luoghi urbani della capitale e lungo le spiagge
di Ostia, quel lungomare destinato a diventare, nelle aspirazioni della
malavita locale, una specie di Las Vegas dell’abusivismo e del
riciclaggio e che
diventa perciò la rappresentazione simbolica della desolazione derivante dalla
cupidigia umana.
Un film che lascia sicuramente l’amaro in bocca ed in quel sapore
c’è tutto il suo spietato realismo, il disegno impressionista del suo regista.
Forse c’è qualche buco nella trama (qualche mancato epilogo,
qualche intuizione un po’ forzata, qualche coincidenza un po’ troppo fortuita),
che, tuttavia, non inficia l’impatto complessivo della struttura narrativa.
Dopo un film così duro e amaro, dopo essere sprofondati negli
abissi più oscuri della malavita, non posso che proporre, per compensazione,
una ricetta dolce, morbida e golosa che riuscirà sicuramente a far riprendere
quota almeno alle vostre papille gustative.
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Torta vegan al cacao, cioccolato e pere |
Ingredienti:
- 200 gr farina di farro integrale
- 100 gr farina di castagne
- 50 gr cacao amaro in polvere
- 120 gr zucchero di canna
- 350 ml latte di soia (o di riso) al cioccolato
- 1 cucchiaino di bicarbonato di sodio ad uso alimentare
- 1 cucchiaino di aceto di mele
- 2 cucchiai di olio di semi di mais
- cannella in polvere
- 100 gr farina di castagne
- 50 gr cacao amaro in polvere
- 120 gr zucchero di canna
- 350 ml latte di soia (o di riso) al cioccolato
- 1 cucchiaino di bicarbonato di sodio ad uso alimentare
- 1 cucchiaino di aceto di mele
- 2 cucchiai di olio di semi di mais
- cannella in polvere
- scaglie di cioccolato fondente
- 2 pere
- 2 pere
- succo di limone
Preparazione:
Sbucciate e tagliate le pere a
fettine sottili e irroratele con del succo di limone .
Unite le farine al cacao ed allo zucchero, mescolate ed aggiungete il bicarbonato. Versate sopra l’aceto di mele. Poi versate l’olio, il latte e mescolate vigorosamente fino a quando il composto non sarà amalgamato.
Versate l’impasto in una tortiera (oliata e infarinata), adagiate le fette di pera e cospargete la torta di pere al cioccolato con scaglie di cioccolato fondente ed un velo di cannella.
Infornate a 180° per circa 30-40 minuti.
Unite le farine al cacao ed allo zucchero, mescolate ed aggiungete il bicarbonato. Versate sopra l’aceto di mele. Poi versate l’olio, il latte e mescolate vigorosamente fino a quando il composto non sarà amalgamato.
Versate l’impasto in una tortiera (oliata e infarinata), adagiate le fette di pera e cospargete la torta di pere al cioccolato con scaglie di cioccolato fondente ed un velo di cannella.
Infornate a 180° per circa 30-40 minuti.