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Locandina del film |
Non è per niente facile scrivere e dirigere un film sulla pazzia.
C’è il rischio che la trama resti in superficie, perché il regista magari
preferisce strizzare l’occhio a soluzioni fin troppo politically correct o
viceversa che la tentazione di addentrarsi nei territori oscuri di certe realtà
scomode possa sconfinare in affreschi al limite del grottesco e dello spietato
pietismo.
Paolo Virzì, a mio modesto parere, è invece riuscito a imbastire
una trama delicata, rispettosa, folle il giusto e credibile quanto basta che
parte da lì, dalla pazzia per arrivare alla gioia, pazza non perché forte, ma
perché esiste, nonostante tutto anche nelle trame di tessuti umani sgualciti e
annichiliti.
E’ un film dai toni composti, dagli zoom (fisici ed emotivi) non
estremizzati nonostante la durezza del tema trattato e la pesantezza che grava
sulle spalle di ciascuna delle figure presenti sulla scena.
Gli sguardi, le lacrime, l’essere arruffate, scomposte e
scompigliate delle due protagoniste, affette da disturbi mentali (una, ex
benestante bipolare finita in declino per guai giudiziari e finanziari, l’altra
depressa e disgraziata dalla nascita e più volte schiaffeggiata dalla vita)
raccontano l’oscurità della malattia mentale più di quanto lo possano fare le
parole della sceneggiatura stessa.
E l’una porta luce all’altra.
Le due donne si conoscono all’interno di una comunità terapeutica
situata nella campagna toscana dove entrambe sono ricoverate. Sono portatrici
malate di fragilità estreme e ossessive.
Beatrice (Valeria Bruni Tedeschi)
frivola, egocentrica, egoista, tagliente, tragicomica nelle sue ossessioni e
ancorata all’ideale di una bella vita di agi e di lussi che lei ha pure
incarnato, grazie prima alle sue nobili origini e poi a frequentazioni discutibili
nell’ambito del jet set politico e Donatella (Micaela Ramazzotti), schiva,
riservata, solitaria, taciturna, consumata nel fisico e nella mente, con un
numero di cicatrici almeno pari a quello dei suoi tatuaggi che più che vivere si
lascia sopravvivere al tempo, logorandosi nel tormento di un figlio dato in
adozione, con alle spalle un padre, ex musicista di successo che lei ha mitizzato
in gioventù nonostante la sua assenza fisica e morale, una madre pure incapace
di dare affettività e un uomo vigliacco che ha spezzato il suo cuore, già
debole e provato. Il film è il racconto del tentativo di fuga di due donne così
maledettamente sole e disperate verso qualcosa che le possa far provare brevi istantanee
di felicità, il folle tentativo, architettato soprattutto da Beatrice che si
trascina con sé Donatella, di ritagliarsi una parentesi di libertà e
spensieratezza: una cena raffinata, due braccia alzate al vento a bordo di
un’auto sportiva, un tuffo in mare, un’immersione nel passato per tentarne di
ricucirne la trama sfilacciata.
Significativo lo scambio di battute tra le due
donne:
“Ma dove si trova la felicità? chiede a un certo punto disperata Donatella; "Nei
posti belli, nelle
tovaglie di fiandra, nei vini buoni, nelle persone gentili", risponde,
alla faccia della sua pazzia, Beatrice, tenace e disperatamente convinta delle
sue affermazioni.
Una fuga alla “Thelma e Louise” per due anime fragili che trovano
proprio nella loro tenera e bizzarra amicizia l’unica possibilità di riscatto
da un passato violato e ruvido e nella solidarietà reciproca la forza e il
coraggio di ripercorrerlo, quel passato, per tentare, come un ultimo atto
disperato prima dell’oblio, di ricomporre i pezzi della propria identità.
Non a caso la colonna sonora del film è “Senza fine” (di Gino
Paoli), quasi a sottolineare il rifiuto di una pazzia senza via di uscita,
perché può non importare nulla della luna e delle stelle del sole e del cielo,
ma può esserci sempre qualcosa, qualcuno, un sorriso, un incoraggiamento, due
mani, uno sguardo, un perdono, una condivisione, una compassione, in grado di
regalare una salvifica “pazza gioia”.
Un film che consiglio vivamente. Uniche avvertenze: lasciare a
casa il pregiudizio e portare in tasca un pacchetto di fazzoletti.
Non che il film provochi il pianto in maniera maliziosa; commuove
sì, ma lo fa sempre con sguardo rispettoso e compassionevole, alternando i
sorrisi e i toni della commedia (soprattutto nella prima parte del film) a
quelli della commozione insita nei drammi e nelle fragilità umane.
E lo fa senza giudizio, senza una prospettiva ideologica, senza
filtrare con la lente di un ipocrita perbenismo o di un consolante e sterile
pietismo, ma solidarizzando con le protagoniste, regalandoci i loro stupori, le
loro ingenuità, la loro follia che non stride poi molto con quella dei
cosiddetti “sani”. Perché, al di là delle patologie psichiche più gravi e che
non rappresentano il focus del film, labile è il confine che ci separa da
quelle fragilità ancestrali in grado di sconvolgere e buttare all’aria, se non
si è più che radicati a terra e nutriti di amore, piani, progetti, sogni,
vestiti e i lumi della ragione.
E’ tutto magistralmente dosato: dalle luci alle musiche, dalla
rappresentazione del quotidiano all’interno di una comunità psichiatrica a
quella dell’immaginario collettivo di ciò che può esserci dentro l’esplosione o
la tenace ricerca di una “pazza gioia”.
Dopo la botta emotiva di un film del genere urgono senz’altro
colori, suoni, sapori estremamente delicati e carezzevoli.
E allora, associo a questo film una semplice crema di zucca e
patate con verdurine croccanti.
Mentre gli occhi e la mente smaltiranno la commozione, la pancia
ringrazierà del trattamento delicato che gli andiamo a riservare.
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Cremosa di verdure |
Ingredienti:
-
patate e zucca lessa
-
semi di sesamo
-
glassa di aceto balsamico
-
verdure miste (carote, cavolfiore e broccolo)
-
olio, sale
Basta frullare le patate e la zucca già lessata nella stessa acqua
di cottura di quest’ultima (usatene poca).
Salate (eventualmente sostituendo il sale con un pò di salsa di
soia) e decorate con glassa di aceto balsamico e semi di sesamo.
Potete adagiare sulla crema di zucca e patate delle verdure miste
che avrete precedentemente cotto al vapore e fatto velocemente saltare nel wok
con un filo d’olio e sale.