martedì 26 maggio 2015

TRA LA MENTE E LE BRACCIA

...vieni avanti magia...

EMANCIPARSI 

Forse…
se non ti avessi mai incontrato…
cercato…
sfiorato…
se non avessi sfogliato pagine di te
e letto libri del tuo sapere…
se non avessi cercato di anticipare i tuoi pensieri
coltivando campi di empatia segreta…
allora…nell’ignoranza della tua esistenza
il tarlo di poterti avere
non si nutrirebbe ora della mia caparbia libertà…
e continuerei quel volo in solitaria
senza la brama di aggrapparmi alle tue ali…
ma esisti…
e mi contagia l’entusiasmo
di provar ardore
a dispetto di ogni ragione…
frantumando
finte certezze,
le mie…
le tue…
scudi difensivi
di anime offese…
                                                                 

fermate di arresto...
                                                                
Dopo aver spremuto un po’ l’ispirazione, non c’è niente di meglio che preparare un bel dolce…dopo un esercizio teorico per la mente, un esercizio manuale per le braccia. Anche in quell’alternanza cerco di costruire una sorta di equilibrio: lascio vagare liberamente la mente, ma poi torno con i piedi per terra, ops, volevo dire con le mani in pasta…;-)
  
La mia versione di pastiera vegana 
Ingredienti per la pasta frolla:
300 g di farina integrale di farro
100 g di zucchero di canna integrale
120 ml di latte di soia alla vaniglia
70 g di margarina di soia (o vegetale)
scorza e succo di 1 limone bio
Ingredienti per il ripieno:
200 g di grano cotto
200 g di tofu al naturale
2 cucchiai di fecola di patate
200 g di zucchero di canna
scorza di 1 limone
400 ml di latte di soia
30 g di margarina
vaniglia in polvere bio

cannella in polvere
aroma all’arancia o polvere di scorzette di arancia o scorza grattugiata d’arancia

(a piacere: pezzetti di cioccolato fondente)
Procedimento:
Per la pasta frolla: lavoriamo lo zucchero e la margarina e agguingiamo man mano la farina. Aggiungere il latte e impastare fino ad ottenere un composto omogeneo. Formare una palla e lasciare riposare in frigo avvolta nella pellicola trasparente per una mezz’oretta.
Per la crema vegana: mescolare in un pentolino antiaderente 2 cucchiai di fecola e 50 g di zucchero di canna. Mettere sul fuoco a fiamma bassa e unire lentamente 200 ml di latte di soia alla vaniglia, sempre mescolando per bene. Aggiungere la scorza di ½   limone e portare ad ebollizione e mescolare fino a far addensare la crema.
Per la crema di grano: versare in una pentola il grano precotto, aggiungere 200 ml circa di latte di soia alla vaniglia, 30 g di margarina, la scorza di ½  limone e la vaniglia in polvere. Far bollire il tutto a fuoco dolce, mescolando fino ad ottenere una crema densa e senza grumi. Quando è pronta, lasciate raffreddare.
Per la crema di tofu: frullare 200 g di tofu al naturale insieme a 150 g di zucchero di canna, fino ad ottenere un composto liscio. Aggiungere 1 cucchiaino raso di cannella, un altro di vaniglia in polvere e un altro di scorzette di arancia essiccate (o scorzette di arancia).
Amalgamare tutte e tre le creme ottenute. A piacere potete aggiungere dei pezzettini di cioccolato fondente.
Stendete la pasta frolla e foderate una tortiera con cerniera apribile (precedentemente oliata e infarinata) tenendone da parte un po’ per le striscette.
Versate il ripieno sulla frolla. Decorate con le striscette, spennellatele con latte di soia e infornate a 180° per circa 60 min o fino a completa doratura.
A fine cottura spegnere il forno, ma aspettate che la torta si raffreddi prima di impiattarla.



martedì 5 maggio 2015

AROMA D'AMORE

Aroma di caffè
Oggi al posto del solito post (scusate il gioco di parole...) voglio pubblicare un racconto a tema “caffè”. L’ho scritto un po’ di tempo fa, come puro esercizio di scrittura. Ve lo offro come una tazzina di caffè da sorseggiare dopo pranzo ;-)

"Se ne accorsero tutti, dopo l’incontro con quel tipo che voleva venderle un’autovettura d’epoca, che in lei era improvvisamente scattato qualcosa di diverso. Una luce nuova, un taglio diverso di occhi, un’espressione addolcita, i tratti ammorbiditi.
Quel giorno, quando conobbe Roger, doveva esistere una congiunzione astrale particolarmente rivoluzionaria nel suo cielo.

A Lilith capita di prendere un caffè con uomini fascinosi di ogni rango e grado; tanti suoi sottoposti, con la scusa di offrirle un caffè, cercano di carpirle un appuntamento fuori dalle pareti della sua azienda. Mai nessuno è riuscito a smuoverle dentro qualcosa di più, a seconda dei casi, di un semplice moto di simpatia, di tenerezza, di imbarazzo, di fastidio. Tanti clienti, fornitori, direttori o anche semplici corrieri passano nel suo ufficio e al termine delle pratiche lavorative, quasi fosse una “conditio sine qua non” per congedarsi, le chiedono: “Le posso offrire un caffè?”. Qualcuno, pensando di apparire meno malizioso, si limita a un più tranquillo “Dottoressa, ci prendiamo un caffè?”.
Nella maggior parte dei casi, complice la sua passione per l’aroma della tazzina fumante, non riesce proprio a sottrarsi a nessuna di queste tentazioni caffeinofile, a prescindere da chi se ne fa portatore.
E’ un triangolo di passioni non corrisposte: chi la invita è tentato da lei -mica è una sprovveduta- lo sa benissimo di essere vista come una preda appetitosa. Ma Lilith è tentata soltanto dalla caffeina. 
Riesce a respingere gli attacchi di qualsivoglia genere di tentazione: non è golosa, non è curiosa, non è influenzabile, né condizionabile. Si ritiene impermeabile a qualunque tipo di dipendenza. Lei si basta da sola.
Quindi ha elaborato la teoria per la quale la sua non è dipendenza da caffè. Ma scherziamo? Lei non dipende da niente e da nessuno. La sua è semplice passione. Scelta. Non subìta. C’è chi ce l’ha per un uomo, per gli uomini, per lo shopping, per le scarpe, per gli animali, per un hobby. Lei ha scelto di vivere la passione per il caffè.
Lilith il caffè lo celebra. Lo onora. Gli porta rispetto, considerazione. Quando le capita di sorseggiare un caffè scadente, lo fa subito presente. Non potrebbe non rendere giustizia alla sua idea di perfezione incarnata dal chicco tostato.
E quando, per rafforzare i suoi contatti di lavoro, le capita di doversi recare all’estero, se sa di andare in un paese dove la qualità del caffè espresso non eccelle, non dimentica mai di mettere in valigia, magari arrotolato in una vestaglietta di seta e tra i suoi tanti accessori e le sue creme giorno-notte,  un pacchetto del suo “oro in polvere” di colore marrone.
Perché limitarsi a considerarlo un’appendice della colazione? O una scusa per sedersi al tavolino di un bar? O per fare pausa durante la giornata lavorativa?

Fece in modo di sentire spesso Roger; con la scusa di trattare, di perfezionare la compravendita, lo chiamava o lo faceva chiamare dalla sua segretaria per chiedergli ora un documento, ora una precisazione, ora un dato burocratico.
Di solito era formale, fredda, quasi distaccata, nelle trattative.
Ma con Roger non riusciva proprio a non far emergere, dal fondo del suo carattere, qualche barlume di gentilezza.
Per la verità, era qualcosa di più di un barlume.
Improvvisamente si sentiva “interessata”, presente a qualcuno mentre ci conversava.
Dopo settimane passate ad accordarsi per telefono, era giunto il giorno del ritiro del mezzo. Di solito, per queste cose, c’erano i suoi dipendenti, pronti a sistemare la faccenda e a dare esecuzione al contratto. 
Ma non poté resistere. Comunicò a Roger che sarebbe andata lei stessa a ritirare la Bentley VI.

Anche da come un uomo sorseggia il suo caffè, lei intuisce le sue potenzialità seduttive. Un uomo che sceglie il caffè d’orzo, lo etichetta subito come un debole, un bambinone spaventato dalle emozioni forti. Se qualcuno, a suo parere, versa troppo zucchero nella tazzina, non può essere un tipo schietto, perché se ha bisogno di coprire il sapore del caffè, figuriamoci quanto possa nascondere le sue emozioni.
L’uomo che non beve caffè non lo ha mai preso neppure in considerazione. Per lei il passare dalla scodella di latte e Nesquik alla tazzina del caffè rappresenta una sorta di svezzamento. Un ingresso ufficiale nel mondo del gusto degli adulti.
Un uomo che trovi il caffè amaro troppo forte, non sarebbe in grado, sempre secondo le sue bizzarre teorie, di proteggerla.
Non che ne abbia bisogno, a giudicare dalla fierezza e dalla superba altezzosità con le quali, accresciute dai suoi tacchi vertiginosi, dirige la sua rinomata e fiorente società di noleggio di automobili di lusso. I suoi dipendenti, quasi tutti di sesso maschile, la trovano algida, sicura di sé, sfuggente e allo stesso tempo rassicurante: immaginano, infatti, che con una donna così non occorra portare sulle spalle nessun tipo di fardello costituito da responsabilità, forza e coraggio. Queste qualità le incarna benissimo già da sola.
Gran lavoratrice, senza ombra di dubbio.
La mattina è la prima ad arrivare in ufficio e la sera l’ultima ad andarsene. Vuole tenere sempre tutto sotto controllo.
Ci tiene a incontrare personalmente, uno ad uno, tutti i clienti, personaggi altolocati amanti del lusso sfrenato e del superfluo.
Al di là del campo di lavoro, non le rimane molto altro da coltivare.
Il parrucchiere il martedì e il venerdì mattina. La palestra due volte a settimana. Il massaggio orientale il sabato mattina. Qualche incontro di lavoro. La domenica di riposo. Ogni tanto, qualche uomo che la corteggia la porta al mare o in montagna ma, al di là dell’occasione che sfrutta con finta ingenuità per restare fuori e godersi la natura, capita raramente che sia davvero presente accanto al suo accompagnatore.
In genere, gli incontri di questo tipo, restano casi isolati. Difficilmente concede all’ammiratore di turno una seconda opportunità.
Il fatto è che non crede agli amori provocati, non crede che qualcosa possa nascere dopo. Lei lo capisce subito se un incontro può trasformarsi in qualcosa di più costruttivo. E finora ha solo capito che non esiste l’uomo giusto per lei. Almeno non nella piccola città di provincia, dove è nata e vive.
Si è sempre immaginata al suo fianco un uomo di mondo, un viaggiatore instancabile, qualcuno che sappia essere colto, fine, elegante, emancipato, risoluto, insolente e un poco sfuggente, capace di accettare la sua indipendenza e la sua poca propensione ai sentimentalismi. Lei è una donna concreta, pragmatica, di polso.

Ovviamente Roger era ben lieto di incontrarla. Ma, per la prima volta, Lilith non dava per scontato che, dall’altra parte, ci fosse questa predisposizione.
Senza perdere tempo, aveva fissato l’appuntamento; si era prenotata il viaggio in treno in prima classe e non vedeva l’ora di sperimentare il sapore di un caffè in compagnia di un uomo per il quale covava un certo interesse.
Una giornata autunnale, la nebbia sul lago e lei ad aspettare in quella stazione fantasma. Erano anni che non sentiva i benefici emotivi di un’attesa del genere. Dopo aver allontanato da sé ogni moto di passione, dopo avere respinto uomini e l’idea stessa di un uomo accanto, scopriva l’ebbrezza di una pulsione proveniente dal cuore.
Quel giorno però scoprì che l’unico uomo che senza far nulla aveva stuzzicato la sua fantasia, al punto da spingerla ad andare lei stessa a cercarlo fuori dalla sua azienda e addirittura in un’altra città, non beveva caffè. A ben pensarci avrebbe potuto immaginarlo: non aveva mai fatto riferimento, durante le loro conversazioni telefoniche, a un possibile appuntamento davanti a una tazzina di caffè. Ma magari – aveva voluto credere – semplicemente non sentiva il bisogno di usare la scusa del caffè per palesarle il suo interesse a trascorrere un po’ di tempo insieme. Come poteva prendere in considerazione un uomo come eventuale compagno di vita senza che questi provasse il desiderio di condividere con lei il minimo e massimo piacere del suo quotidiano? Era un segno del destino: non poteva esistere altra passione che non fosse quella profumata di caffè.
O forse quella passione smisurata era un altro dei suoi alibi per tenere chiunque fuori dall’orbita della vera Lilith? Può accettare i caffè che i vari uomini le offrono, ma così come non ha mai accettato di mitigare con lo zucchero l’amara verità del nettare bruno, così non è mai riuscita ad allentare i nodi stretti intorno al suo cuore.  
E così su quel binario fece deragliare una fantasia, un altro brivido custodito nel suo inconscio, un mondo disordinato e confuso di emozioni negate e illusioni respinte.
La sua è stata un’educazione molto rigida: mai una confidenza, un moto di tenerezza tra lei, unica figlia di una famiglia benestante, e i suoi genitori. Non ha mai visto sua madre e suo padre scambiarsi una carezza. Quasi nemmeno incrociavano i loro sguardi. Erano persone evasive, di poche parole, di ancor meno gesti affettuosi; persone che vivevano vite parallele e che si trovavano intorno a un tavolo giusto il tempo di un pasto, quando non erano altrove per motivi di lavoro, o pseudo tali.
Negli anni mai un fidanzamento ufficiale, mai che le fosse venuto il desiderio di condividere i suoi giorni con qualcuno. Con tutti, anche con quelli ai quali apparentemente stava concedendo una possibilità, si limitava al massimo a una gita fuori porta.

Le è sempre piaciuto svegliarsi con l’aroma avvolgente del caffè: le dà la sensazione di un abbraccio confortante, rassicurante. Poiché ha sempre vissuto da sola, non c’è nessuno a mettere la caffettiera sul fuoco per allietarle il risveglio. Allora ha comprato una di quelle macchinette moka intelligenti: si accendono all’ora del mattino pre-impostata e così un cavaliere fantasma, proprio mentre suona la sveglia, le soffia in camera il suo profumo preferito. 
L’altro momento della giornata in cui assapora meglio il rito del caffè è quello del dopo cena, specie se consumato fuori casa.
Al ristorante, che sia sola, accompagnata o in comitiva, soltanto a vedere arrivare quel piattino con la tazzina al centro, dissolve come un miraggio tutte le tensioni della giornata.
Da autentica purista del caffè, lo gradisce tassativamente senza zucchero. Può fare una concessione appena a un cucchiaino di spuma di latte, quando ha voglia di un caffè più morbido. Ma fin dal suo primo incontro con il caffè, non ha avuto tentennamenti nello scostare la bustina di zucchero.
Anche se non vi deve disciogliere nessuna sostanza dolcificante, non si priva del gesto di girare la bevanda con il cucchiaino: le piace giocare a rallentarne l’assunzione. Troverebbe oltraggioso ingurgitare il contenuto della tazzina così, senza soste, senza diluizioni, senza centellinare il piacere.

Alla scoperta che Roger non avrebbe mai sorseggiato insieme a lei un caffè, lo lasciò andar via. Pur provando, per la prima volta, un irresistibile trasporto verso un uomo, non ce la poteva fare.
Chiuse la trattativa e gli disse che non poteva rimanere in città né per un aperitivo, né per un pranzo all’aperto, né per qualunque altra proposta, perché doveva rientrare in azienda per una serie di appuntamenti.
Passò giorni, settimane, a respingere le sue telefonate.
Poi una mattina, entrando nel suo ufficio, trovò sulla sua scrivania un mazzo enorme di fiori. Un fascio gigantesco, già posizionato dentro un vaso scintillante di vetro di Murano. Ma erano fiori particolari. Da lontano sembravano fiori di legno.
Lilith si mise a osservarli da vicino e, guarda! I petali dei fiori non erano altro che chicchi di caffè.
Centinaia, migliaia di chicchi del suo amato caffè, attaccati con precisione certosina a formare fiori.
Anche gli steli erano rivestiti di chicchi marroni.
Come l’ha scoperto? Chi gli ha svelato il mio segreto così palesemente custodito?
Non c’è paura, preoccupazione sì. Avrebbe voluto mostrarsi, non essere scoperta. Ma il gesto intrigante e galante alimenta la curiosità, assopisce il desiderio razionale di venire a capo del mistero. Irrompe con una forza di attrazione che cancella i limiti rassicuranti di quel che credeva di sé.
E tuttavia non poteva ancora crederci: qualcuno aveva trovato un modo così originale e fantasioso di offrirle il caffè. Non dentro la tazzina, ma addirittura in un vaso da fiori.
Roger meritava davvero quella chance che aveva sempre negato a tutti gli altri.
Ok, non beveva caffè: era completamente fuori scala per il suo sistema di valutazione eppure…
I pianeti cambiano posizione, i soli cambiano posizione, gli stessi sistemi astrali mutano secondo leggi che sono più antiche del tempo. Lilith e il caffè non fanno eccezione."


E per accompagnare questo racconto, ho scelto una ricetta semplice ma capace di donare grande soddisfazione: la piada versione vegan.

Piada

Ingredienti (per 2 piade):
-          200 gr di farina di farro integrale
-          Olio evo, un pizzico di sale
-          ½ cucchiaino di lievito istantaneo bio per pizze e torte salate
-          100 ml circa di acqua tiepida

  
Unite in una ciotola tutti gli ingredienti secchi. Aggiungete un cucchiaio di olio evo e poco alla volta l’acqua (quanto basta per ottenere un impasto morbido ed elastico).
Formate una palla e lasciate riposare per una mezz’ora.
Stendete poi con il mattarello due piade molto sottili. E bucherellate con una forchetta.
Scaldate una padella antiaderente e capiente.
Quando è caldissima, adagiate la piadina e fatela cuocere da entrambi i lati girandola spesso.
Quella che vedete in foto è farcita con crauti in agrodolce. Ma la piada si presta a qualunque tipo di farcitura.