mercoledì 19 dicembre 2012

...PAROLE E FOGLIE AL VENTO...


...mi sono regalata una giornata. E non l’ho trascorsa ai fornelli, ma passeggiando per Roma.
Ho macinato chilometri, ho visto scorrere davanti a me vetrine, persone, macchine; mi sono immersa nell’atmosfera cittadina, resa più ovattata dalle luci e dalle decorazioni natalizie.
Poi, per rilassarmi sono andata a raccogliere foglie.
Si si proprio foglie....del resto le foglie sono da sempre simbolo del mio blog e della mia vena pseudo poetica...e quindi sono andata a stabilire un contatto più stretto e concreto con esse. Del resto un amore completo è quello che sa andare oltre l’idea e l’idealismo e ci fa propendere le mani verso altre mani, ci fa riempire le braccia di abbracci, la vita di gesti concreti di generosità e altruismo. Allora visto il mio amore ideale per le foglie, ho pensato che fosse giunto anche il momento di osservarle, toccarle, viverle, dopo averle celebrate in poesie come questa:


L’ALBERO AD UNA FOGLIA

Ti prego…
Non abbandonare il mio ramo, diventato anche tuo…
Non subire il fascino del vento che ti tenta con le sue carezze…
Non far sì che esso ti porti lontano da me…
Anche se è autunno e il pittore vorrebbe illustrare la tua caduta
Io, che ti ho accolta, ho ancora bisogno di te…
Non denudarmi…
Non lasciarmi  spoglio…
E’ vero…hai una veste imbrunita, sbiadita, avvizzita e stropicciata…
Eppur ancor  vive linfa nelle tue venature… 
 e di quella ho bisogno per nutrirmi;
e se anche una sola goccia tu  mi puoi offrire
non privarmene…
alle mie cellule la farò  bastare...

;-)
Villa Borghese si è rivelata la fonte ideale. Come un cane da tartufo, durante la passeggiata rilassata e alla luce di un sole tiepido, ma luminoso mi sono piegata a raccogliere le foglioline più belle e asciutte. Ho osservato, ho scelto le foglie che attiravano la mia attenzione e le ho riposte con cura in una bustina.
Poi ho recuperato in cartoleria altri utensili e infine ho realizzato la decorazione per il portacandela che vedete in foto.
Come una ricetta, ecco a voi la preparazione.
La foto è stata anche la scusa per soddisfare il mio desiderio di inaugurare la magnifica tovaglietta rossa con ricamo artigianale, dono che è stato fatto a me e alle mie parole, il più dolce e il più amorevole di questo Natale 2012, e che si "spalmerà" su tutti i giorni del mio calendario.  

Ingredienti:
-       candela
-       bicchiere squadrato
-       colla
-       foglie
-       cordoncino
-       colla glitter per decorare

Pulite le foglie (potete trattarle con lo spray lucidante per una durata più lunga. Io le ho lasciate così). Attaccatele con cura (e attenzione alle dita!!) sulle facciate del bicchiere. Lasciate asciugare. Ponete intorno un cordoncino e a piacere fate piccoli decori con la colla glitter (io ho fatto qualche puntino colorato qua e la direttamente sul bicchiere, nella parte non coperta dalle foglie).
Ponete la candela dentro il bicchiere, accendete e godete della luce suggestiva data dall’ombra delle foglie.



venerdì 7 dicembre 2012

SE VOLETE...CHIAMATELO NATALE...


....di qualsiasi razza, cultura, religione, lingua, sesso, provenienza, estrazione....insomma chiunque non può non assistere (almeno assistere, per il sentire...è un altro discorso...) al cambio di luci, atmosfera e scenografie in atto nella propria città durante i quindici giorni che precedono quella festività che sul calendario viene annunciata come “Natale”, o meglio come “Natività N.S.” (ho appena controllato sul planning dell’ufficio).
Ora: tralascio di proposito qualsiasi riferimento/considerazione di stampo religioso. Non ho nè gli strumenti, nè l’intenzione, nè l’aspirazione per farlo.
Voglio solo condividere con voi qualche riflessione, libera e sincera, su tutto ciò che per me significa, e non significa, Natale. Mi servirò dell’alfabeto per riepilogare e dare un ordine ai pensieri, pur sparsi tra un tempo passato, presente e futuro.
A come ADDOBBI...nel periodo in cui tutti addobbano nei modi più disparati e a volte stravaganti pini veri o finti nelle proprie case, vi dico che, sotto sotto, avrei voglia di farlo anch’io. Ma è un gesto che associo ad un nido.
Ed io il nido ancora non ce l’ho. Farlo in una stanza, in un luogo pur mio, ma non in senso “familiare”, non mi darebbe la stessa soddisfazione. E allora, da quasi dieci anni, vi rinuncio. Per questioni di spazio, ma soprattutto per questione di forma mentis.
Per me addobbare significa poter rendere calda una dimora, la “home”, non semplicemente una “casa”, l’”house”.
E lo dico non con un retrogusto amarognolo in bocca; anzi, per ora mi godo quella forza che dà la fantasia. Immaginare come addobberò il mio albero nella mia home, è un’operazione che mi riempie di energia propositiva. Le aspirazioni hanno frequenze molto forti, bisogna saperle individuare e ben posizionare sul proprio spirito affinchè diventino prima o poi la propria realtà quotidiana.
Questo per dire che, chi ne ha già la possibilità, impieghi del tempo a rendere più calda la propria “home, sweet home”! e non perchè è Natale, ma perchè si può fare di questo periodo semplicemente un’occasione per esprimere la propria creatività e spargere un soffio di favola, di poesia anche tra le pareti domestiche, dove è vero che passiamo sempre troppo poco tempo (...il lavoro, gli impegni, ecc. ecc..) ma ciò non deve voler dire considerarle alla stregua delle pareti di un ufficio.
Adesso, con questa affermazione, rischio di sembrare incoerente perchè predico il calore, il colore dopo aver ammesso che io non lo faccio. E vabbè, evviva le contraddizioni! ;)
B come BALOCCHI...vabbè il vento natalizio mi riporta indietro ricordi legati ai primi giochi che venivano sapientemente nascosti in cantina da un Babbo Natale (e una Mamma) non ricchissimi nel sacco, ma sicuramente nel cuore...il primo regalo del quale ho memoria fu un Mazinga Zeta di peluche che era alto quanto me. Lo stupore è l’emozione che mai scorderò...
C come CITTA’...mai come in questo periodo dell’anno mi viene voglia di visitare nuove città, piccoli borghi, per vedere come vengono decorate strade, vetrine e piazze nelle varie località...
D come DONI...apprezzo in particolar modo i doni mascherati. Quelli che non hanno bisogno di essere impacchettati, che non necessitano di calcoli di budget, di giri frettolosi nei negozi, ma di un’ispirazione dettata da un sentimento speciale, inatteso; può essere una rivelazione, un segreto, un’esperienza, una proposta fuori programma o semplicemente una colazione rilassata, sapendo che non ci sarà bisogno di guardare l’orologio, perchè quel tempo tutto per noi è già il dono che decidiamo di farci in un giorno di festa.
E come ESPERIMENTI...mai come in questo periodo ognuno si diverte a sperimentare quello che può con quello che ha: c’è chi prepara biscotti decorativi da appendere al proprio albero di Natale, chi confeziona oggetti artigianali “fai da te” da regalare ad amici e parenti, chi si cimenta con nuove ricette per i vari cenoni, e pranzoni, delle feste. Io, a Natale, da alcuni anni sperimento “il dolce abbandono”: quello che mi consente di godermi i momenti senza momenti particolari, che mi fa girare rilassata e curiosa per i mercatini, ma senza le tipiche ansie da caccia al regalo dell’ultimo minuto. Infatti non stilo più in anticipo elenchi di persone con i rispettivi regali da scovare faticosamente negli angoli più intasati di Roma. Procedo al contrario: se capita che, girando per negozi e bancarelle, un qualsiasi oggetto o idea mi fa venire in mente una persona, e provo il desiderio di regalargliela, allora effettuo l’acquisto, altrimenti non mi sforzo, sennò il regalo diventerebbe un supplizio, un lavorio mentale poco spontaneo e fonte di sensazioni non gradevoli (stress, nervoso, ansia) delle quali nessun gesto d’amore o generoso dovrebbe essere intriso.
F come FAMIGLIA...la famiglia è il nido, prima ancora della “home” di cui dicevo sopra; è il porto sempre aperto, l’approdo, il rifugio. Purtroppo, non per tutti può essere così. E allora c’è chi individua la famiglia nei propri amici, o nei propri amici a quattro zampe, o nei parenti più stretti. La mia famiglia stessa è il mio Natale, e non importa se, per ragioni geografiche, capiterà di trascorrere insieme altri giorni e non quelli canonici del calendario. Anche la famiglia ha delle energie sottili in grado di raggiungere e ricongiungere sempre i suoi componenti, anche quando questi si trovano in luoghi, o addirittura in dimensioni, diverse.
G come GHIRLANDE...quelle tonde, da appendere alle porte e con scritto “Buone feste”...
I come ILLUMINARE...non importa se con le lucine, le candele, le fiammelle, il camino...per me l’atmosfera è d’obbligo e non posso sentirmi “in raccoglimento” con una luce sparata o artificiale. Fosse per me il cenone di Natale si svolgerebbe a lume di candela...o di camino, e con le musichette di Natale in sottofondo...;)
L come LETTERA...non ricordo di aver mai scritto la classica letterina a Babbo Natale: o non ci ho mai creduto o non sapevo cosa chiedere per eccesso di scelta...nel dubbio, mi astenevo.
M come MUSCHIO...una cosa che mi piaceva, da piccola, era il tappeto di muschio che mio padre andava a raccogliere in un bosco vicino casa per posizionarlo nel presepe. Tra le statuine, la mia preferita era il dormiglione, invece mal sopportavo il pezzetto di carta stagnola per ricreare un laghetto o un ruscello. Mi sembrava un’inutile incoerenza: lago finto su un prato vero. A quel punto, meglio rinunciare del tutto all’elemento “acqua”.
N come NOCI...ripensando ai Natali di fanciullesca memoria, il cestino della frutta secca, almeno da me, compariva sempre solo nei giorni delle feste natalizie. Poi, misteriosamente, scompariva. Le nocciole o ammuffivano o le rubava qualche scoiattolo...mah...
O come OZIO...in un tempo in cui tutti fremiamo, siamo costretti a correre, a stressarci nei tragitti casa/lavoro/casa, in cui abbiamo sempre qualcosa da fare, qualche commissione da gestire, qualche appuntamento da organizzare, il pregio che possono avere i giorni di festa, anche per gli allergici ai riti ed alle celebrazioni, è anche quello di farci assaporare il gusto del “dolce far niente”...
P come PANETTONI, PANDORI...ammetto il mio non apprezzamento per i tipici dolci natalizi. Ciononostante l’anno scorso mi sono cimentata con il mio primo esperimento di pandoro fatto in casa. E mi ha dato pure soddisfazione. Ma quest’anno, guarderò altrove. Che il natale perdoni il mio dolce fuori tema...
Q come QUASI QUASI mi fermo qui, perchè con questa lettera non mi viene niente legato al Natale...;-)
R come RENNE...ho sempre fantasticato su come debba essere bello potersi recare al profondo nord del mondo, in Lapponia, dove le renne ci sono davvero e non sono soltanto il motivo decorativo di un qualche suppellettile natalizio...
S come STELLA DI NATALE...questa pianta ha un ciclo di vita regolato sulla durata delle feste di Natale...raramente riesce a sopravvivere dopo l’Epifania (...”che tutte le feste si porta via...bla bla bla”)
T come TOVAGLIA...una bella tovaglia il giorno di una festa che si reputa importante è già metà dell’opera. Poi certo conta ciò che ci si mette sopra. A me il Natale ricorda tanto una tovaglia gialla, di stoffa grezza, che in famiglia abbiamo usato tanti anni di seguito durante i cenoni della vigilia. Da qualche anno quella tovaglia è stata mandata in pensione, sostituita da una più tradizionale tovaglia rossa. 
U come UVA...a Natale fanno sempre in bella mostra, sui banchi del mercato, e sulle tavole imbandite, le più disparate varietà di frutta, anche non di stagione. Non si capisce perchè, a Natale, in pieno freddo, dovrebbe venirmi voglia di fragole, ciliegie o del  frutto della passione. Infatti, di solito, dopo la cena della vigilia o alla fine del pranzo il giorno di natale, mi indirizzo sull’uva, o al massimo sui mandarini. Preferisco non andare, per vezzo, fuori stagione.
V come VALIGIA...ho sempre immaginato quanto sarebbe bello, prendere una valigia, buttarvi qualche vestito, e partire, sì proprio la mattina di Natale. Non mi è mai importato di fantasticare sulla meta. A stuzzicarmi e’ l’idea di vivere la dimensione del viaggio in sè, in un momento insolito e in cui il senso comune vuole che lo si passi in casa, davanti ad una tavolata, circondati da parenti o parenti dei parenti, e magari sonnacchiosi davanti ad una cartellina della tombola o all’ultima diavoleria tecnologica, dono natalizio che almeno una persona del gruppo, a turno, riceve. Per carità, sapete (almeno, lo sa chi mi legge di solito) quanto la dimensione del focolare mi piaccia, ma proprio perchè io apprezzo sempre, tutto l’anno quella dimensione (a differenza del senso comune, che se lo impone solo “alle feste comandate”), in una mattina così, almeno una volta nella vita, farei l’esatto opposto.
Z come ZUCCHERO A VELO...perchè mi ricorda la cima innevata del Monte Pandoro, una montagna che ho battezzato con questo nome e che per me ha un significato molto particolare e profondo; un monte che ho avuto il piacere e la gioia di scalare (sia pur solo con il pensiero...per ora) proprio durante il Natale di un anno fa e da allora, è rimasto saldo e solido dentro ai miei occhi, come un’immagine in più di quella diapositiva sulla quale proietto la trama di ciò che per me è il Natale...



Ecco...il Natale mi fa venire in mente tutte queste cose, e anche molte di più....
Questa volta non vi segnalo una ricetta in particolare, ma un ingrediente che vi raccomando di aggiungere in tutte le vostre pietanze, soprattutto in quelle che preparerete per i vostri cari, durante le prossime festività.
Potete usare con parsimonia tutti gli altri ingredienti, il sale, il pepe, l’olio, moderate i grassi, gli intingoli...ma su una cosa...non dosate...abbondate con generosità....

Ingrediente (principale):

-       l’amore: in quello che fate, in ciò che siete, per le persone che scegliete di avere accanto per il tempo di un pasto, o per tutta la vita.

venerdì 30 novembre 2012

FLUIDITA' NEL CUORE ...E NEL CUCCHIAIO


Non sempre le cose scorrono fluide come le acque delle sorgenti di montagna. Ci sono grumi che non superano nemmeno le maglie più lasche dei colini più scadenti, iter che restano bloccati nella parte stretta di un qualche imbuto burocratico ed emozioni che restano imprigionate dietro sbarre di paura e diffidenza.
Ma quando capita di vivere un’esperienza di fluidità, uno di quei momenti della giornata in cui senti di trovarti al posto giusto nel momento giusto con la/le persona/e giusta/e...ecco che tutte le cose sembrano tornare nella giusta prospettiva.
In verità non sono loro ad essere tornate da qualche parte; siamo noi ad essere tornati a noi stessi.
Quando ci si riappropria del proprio sè più autentico, i fatti della vita sembrano “magicamente” acquistare fluidità. Non significa che da quel momento in poi le cose, i rapporti, le prove, le esperienze, diventano di colpo facili. Non ci sono vie facili. Non ci sono scappatoie.
Non vuol dire nemmeno diventare indifferenti o impermeabili rispetto a ciò che ci accade.
Anzi, entrare nel flusso della propria vita, piuttosto che interpretarla come spettatori passivi, comporta un totale abbandono che ci fa sentire le cose con tutto il nostro essere, non soltanto con i canoni della mente.
Il continuo controllo che cerchiamo di esercitare su tutto, anche sulle cose e sugli eventi più banali, non fa altro che alimentare la dose di stress e di ansia di cui il nostro quotidiano è già intriso, facendoci allontanare sempre più dal fluire naturale del nostro tempo.
Possiamo allora cominciare dalle piccole cose: lasciar andare i giudizi, lasciar scorrere ciò che non ci è utile, lasciare libera una parte del nostro tempo, per poter semplicemente osservare, senza dover per forza riempire, organizzare, e di conseguenza ostruire una volta di più quell’oasi di consapevolezza che ha bisogno di silenzio e di non-attività per essere coltivata.  

"Come l'acqua che cede dolcemente spacca la pietra ostinata, così il cedere alla vita risolve l'insolubile” (Tao Tè King)

E a proposito di fluidità e ingaggiando ancora una volta come attrice protagonista la “patata biologica” di cui al precedente post, vi propongo questa semplice vellutata di patate.
Per la serie: anche in cucina possiamo provare a prepararci qualcosa di fluido e morbido, in grado di scaldarci soprattutto in quelle sere che fanno seguito a giornate in cui tutto è stato vischioso, difficoltoso e stagnante.



VELLUTATA DI PATATE  
Ingredienti

-       3 patate di media grandezza
-       ½ scalogno
-       Brodo vegetale q.b.
-       2 cucchiai di farina di kamutt (o quella che avete)
-       Noce moscata, sale, parmigiano


Sbucciate le patate e tagliatele a pezzetti. Affettate lo scalogno e rosolatelo in una casseruola con un po' d'olio. Aggiungete le patate e fatele cuocere per un minuto a fuoco vivo, quindi unite la farina e mescolate. Aggiungete il brodo caldo in modo da coprire le patate e fate cuocere a fuoco medio per circa 20 minuti. Quando le patate saranno cotte passatele con il frullatore ad immersione fino ad ottenere una crema vellutata. Rimettete sul fuoco per altri 5 minuti ed aggiustate di sale, noce moscata e a piacere con del parmigiano.
Decorate come meglio gradite (io ho usato un filo di glassa di aceto balsamico, un tarallino di pasta sfoglia al sesamo e una fettina di speck croccante).


mercoledì 21 novembre 2012

...LA PATATA DI CESE....


Quando l’ingrediente di base è genuino, ma veramente genuino (non solo a detta di slogan pubblicitari o di abili venditori), non occorre allungare la lista degli ingredienti per riuscire a preparare una buona pietanza.
Sarà esso stesso l’unico protagonista, il principe al centro del palato e del vostro piatto. Ma, ripeto, per garantirvi da solo un risultato eccelso deve essere di ottima qualità, possibilmente proveniente da coltivazione biologica. Un prodotto che sia il più possibile naturale, non contaminato, non guastato da aggiunte, modificazioni, sofisticazioni.
Di recente ho avuto la fortuna di imbattermi in uno di questi prodotti che anche da soli potrebbero guadagnarsi stelline alla Michelin o cappellini firmati da chef: la patata di Cese (ndr: Cese dei Marsi, ridente frazione del Comune di Avezzano, in provincia dell’Aquila).
Che la patata di tutto l’altopiano del Fucino (indicazione generica, che non rende giustizia alle singole località) sia particolarmente apprezzata non è un’informazione riservata; apprendiamo da wikipedia che la patata di Avezzano ha ottenuto la certificazione DOP e PAT (= prodotti agroalimentari tradizionali).
Ma che un paese sconosciuto alle guide turistiche, che sembra il fondale di un presepe vivente, potesse custodire una delle varietà più pregiate della zona che lo ospita...bhe questa è una chicchetta che può essere svelata e diffusa solo attraverso i racconti di chi, come me, ha avuto la fortuna di visitare e conoscere questo scorcio paesaggistico che pare sospeso tra la montagna svettante alle sue spalle e la campagna antistante.
A Cese non arrivano i rumori tipici della città, ma quelli armonici della vita campestre; camminando per i suoi vicoletti puoi sentire l’odore della legna bruciata o dell’erba appena tagliata e nell’aperta campagna che la circonda, nelle notti più serene, puoi renderti conto di quanto le stelle siano luminose, perchè qui i colori sono quelli intatti che esistono in natura, non quelli annacquati dal pennello umano che tutto omologa ed omogenea; di giorno, passeggiando con placido abbandono puoi sentire il fruscio degli alberi, incrociare contadini con i loro trattori, assistere a tante scene necessariamente censurate dall’uomo nei grandi centri abitati.
Questo paesello, costituito da un grappolo di abitazioni dai comignoli fumanti, un campanile svettante al suo centro, un fontanile in piena campagna ed abbracciato tutto intorno da grandi braccia montuose, custodisce nei suoi campi coltivati una varietà di patata a pasta e buccia gialla, compatta, poco acquosa, poco farinosa, con molta sostanza secca e queste sue caratteristiche la rendono adatta a molteplici impieghi culinari.
Ottime “bruscate” alla brace o al forno, con l’aggiunta di un filo d’olio e poco sale, ma anche formidabili per la preparazione di gnocchi, purè, dolci; deliziose persino semplicemente lessate e sbucciate. Ecco quando un alimento può essere definito “principe”: quando appaga il nostro gusto così, in tutta la sua semplicità e naturalezza.
Questo tipo di patata non si sfarina in bocca; la si riesce dunque a gustare in tutta la sua sostanza e compattezza.
Per onorare questo tubero, orgoglio della terra cesense, ho deciso di preparare un millefoglie insolito: semplici strati di patate e mozzarella, con una spolverata finale di pangrattato e semi di papavero. E le fette di patate rimaste? Quelle le ho semplicemente adagiate dentro la teglia e il risultato è stato un ventaglio di chips croccanti intorno e morbide al centro.

MILLEFOGLIE DI PATATE E MOZZARELLA



Ingredienti (per 2 tortini):
-       3 patate di media grandezza
-       1 mozzarella
-       sale, pepe, origano, parmigiano
-       semi di papavero


Sbucciate le patate, lavatele e tagliatele a fettine sottili (usate l’apposito attrezzo che affetta le verdure).
Fatele leggermente scottate in acqua bollente e leggermente salata.
Dopodichè adagiate due coppapasta (che provvederete ad imburrare lungo i contorni) dentro una teglia ricoperta di carta da forno e preparate il millefoglie alternando fettine di patate spolverate con poco origano (o rosmarino) e fettine di mozzarella. Fate più o meno 4 strati e sullo strato finale (di patata) versate del pangrattato, un pò di parmigiano e qualche seme di papavero.
Infornate a 180^ per circa 20 minuti.
Attenzione a togliere poi il coppapasta per non distruggere la composizione. Il risultato deve essere un tortino, o meglio, un millefoglie....anche se, in realtà, sono solo 4...;-))





giovedì 15 novembre 2012

UNO SCRIGNO DI EMOZIONI E....DI SAPORE...



Ho imparato ad accettare e ad aspettare che le cose avvengono seguendo il loro corso naturale, senza sprecare troppe energie in sterili quanto inutili elucubrazioni mentali e senza quegli scalpitii dettati da un'infantile impazienza. Sono convinta che le emozioni vivano di VITA PROPRIA e che non serva a niente cercare di imprimere loro, anzitempo, una direzione. Le emozioni camminano su un loro sentiero.
La maggior parte delle volte sperperiamo energie a tentare di plasmare le emozioni per renderle "Opportune", "Accettabili"...al servizio del nostro Egocentrismo.
Dimentichiamo che le emozioni non hanno uno scopo "utilitaristico"..se non quello di renderci vivi e liberi; e ciò avviene solo nel momento in cui accettiamo di abbandonarci al loro flusso.
Ho capito che nel campo delle emozioni non bisogna SUPPORRE, ma INCURIOSIRSI...non bisogna PRESUMERE, ma con discrezione INTERESSARSI...
Non si possono gestire neppure le altrui emozioni...non si può costringerne o cercare di determinarne il corso...nemmeno usando strumenti quali il CORPO, la RAGIONE, la SEDUZIONE o la PERSUASIONE...
Essere liberi, autentici, veri, spontanei è l'unica cosa che possiamo fare per consentire alle emozioni di emergere dalla nostra interiorità e impedire che soffochino nei meandri delle nostre contorsioni mentali.. Ogni STRATEGIA diretta a condizionare la vita propria delle emozioni è destinata a fallire, perchè, nel momento stesso in cui mettiamo in atto una strategia, stiamo già perdendo una parte del nostro ESSERE AUTENTICO.
Un'emozione che deriva da un comportamento condizionato e condizionante non può dirsi veramente tale; sarà un trofeo, una taglia, una conquista...ma non un'emozione vera...
Qualunque atto che sia frutto di un'emozione liberata non potrà mai diventare causa di rancori, rimorsi, ripensamenti, rimpianti, perchè ogni VERA emozione assecondata è un pezzo di vita che ci siamo concessi di assaporare.
Ovviamente escludo ogni riferimento a quei comportamenti subdoli che, falsamente mascherati come emozioni, sono in realtà atti di vanità, di superbia, di lussuria...per i quali si usa l'alibi della spinta emozionale soltanto per sentirsi a posto con la coscienza...
La linea di confine è molto sottile...ma solo chi sa cogliere questa differenza, può dire di vivere nel rispetto delle proprie e delle altrui emozioni, scansando il pericolo, sempre incombente, di macchiare con l'INGANNO e la FALSITA' i rapporti intorno a sè.
Intanto, tra una riflessione e l’altra, possiamo anche andare a pasticciare in cucina...e oggi vi propongo qualcosa di sfizioso. Uno scrigno di zucchine con dentro....con dentro....continuate a leggere e lo scoprirete!

Ingredienti:

-       zucchine
-       formaggio cremoso
-       salmone affumicato
-       una goccia di aceto balsamico
-       olio, limone

Grigliare le zucchine tagliate a fette molto sottili (io le ho arrostite direttamente nel fornetto).
Intanto in una padella antiaderente, fate rosolare in un filo d’olio un po’ di scalogno, aggiungete il salmone affumicato tagliato a striscioline e qualche filetto di zucchina.
Dopo qualche minuto, spegnete e frullate il salmone e le zucchine con un pò di formaggio cremoso (quanto basta per formare un composto cremoso).
Prendete le fette di zucchina grigliate e ricoprite con esse le pareti di una formina (di quelle che vanno in forno). Farcite con la crema di salmone, grattuggiate sopra la scorzetta di limone e mettete altre zucchine come coperchio.
Infornate per 10 minuti a 180^ e poi ribaltate il tortino nel piatto, versandovi sopra una goccia di aceto balsamico. 







venerdì 26 ottobre 2012

SEMPLICE COME IL PANE....



“…C’era stato un tempo in cui l’impensabile era diventato pensabile e l’impossibile era successo davvero…”

“…l’aria era piena di Pensieri e Cose da Dire…Ma in momenti simili vengono sempre dette solo le Piccole Cose. Le Grandi Cose si acquattano dentro, non dette…”


...Pillole letterarie tratte dal libro “Il dio delle piccole cose” di Roy Arundhati; una lettura particolare, intrigante, insolita…un romanzo nel quale le coordinate temporali e la cronologia dei fatti non seguono un andamento preciso, dove le COSE sono ANIMATE e le sensazioni acquistano la CONCRETEZZA di un’immagine disegnata dalla FANTASIA  dei suoi personaggi; COSE che acquistano un’anima e che percorrono strade, si arrampicano sui muri, strisciano su corpi e superfici e che poi svaniscono come un soffio di fiato del loro dio su un vetro... E’ la saga di una famiglia indiana del Kerala che gestisce la fabbrica di “Conserve e Composte Paradiso”;  tra le righe del libro sfilano ambienti domestici, lutti, gioie, tradizioni, miti, riti, liti… le piccole cose che costituiscono la quotidianità di una famiglia e che rispecchiano i cicli e gli accadimenti di una vita, il fango che la macchia, l’acqua che poi la può inondare. Sullo sfondo i BOSCHI in cui vivono arcane leggende, CASE che custodiscono segreti secolari, l’evoluzione di un popolo diviso da caste e da antichi pregiudizi…in primo piano la vicenda umana e sentimentale di Ammu, una giovane donna indiana che con il suo amore “proibito”per un intoccabile osa sfidare le convenzioni della sua cultura, ribellandosi con coraggio silenzioso ad un ordine che si vorrebbe già stabilito da un certo corso della storia. Il tutto è vissuto attraverso gli occhi dei suoi due bambini, Rahel ed Estha, gemelli dizigotici che vengono divisi, amareggiati da personaggi che violano la loro ingenuità, ma che mantengono sempre quello sguardo curioso e speranzoso che gli permette di ritrovarsi, di affrontare e superare le prove difficili della vita, resi forti dal loro legame invisibile di complicità …
Nel finale una sensualità che, rimasta velata nel corso del racconto, finisce per esplodere dirompente, conferendo alla trattazione un risvolto passionale che non tradisce quel clima di continua attesa che stimola il lettore ad andare avanti…

E visto che uno dei luoghi in cui si possono trovare quelle cose piccole e semplici che scaldano il cuore è la cucina....ecco che abbino a questa lettura la ricetta di una delle cose più semplici e genuine: il pane...questa è una variante di panini ultra morbidi, leggermente aromatizzati allo zafferano. Buona panificazione!!


Gli ingredienti (per circa 7/8 panini)

-  farina 500 gr (ho usato metà farina manitoba e metà farina 00)
-       latte ml 125
-       acqua ml 125
-       1/2 bustina di lievito di birra disidratato
-       burro g 25
-       olio extravergine di oliva ml 75
-       2 pizzichi di zafferano in polvere.

Impastate energicamente tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto ben amalgamato, lasciatelo riposare a temperatura ambiente per circa 30/45 minuti. Poi formare dei panini rettangolari (aiutandovi se mai con altra farina) e metteteli su una teglia coperta con carta da forno e lasciateli a lievitare per altri circa 30 minuti. Fate dei segni sulla superficie (una croce o dei tagli delicati) e cuocete in forno già caldo a 180° per circa 25 minuti.



martedì 9 ottobre 2012

...TORNIAMO AI FORNELLI...


Dopo l’ultimo mio post, in cui vi ho raccontato un pò delle mie vacanze, torno a munirmi di forchetta e coltello e vi segnalo una ricetta, facile facile, molto sfiziosa…un primo piatto a base di zucchine e semini...proprio così...semi misti di sesamo, lino, zucca e girasole. Si trovano, già miscelati, nei negozi di alimentazione biologica. Aggiungerli alle insalate è una buona abitudine (visto che i semi di questo tipo sono ricchi, tra l’altro, di fosforo, manganese, rame, selenio) e si possono anche utilizzare per personalizzare varie pietanze, aggiungendo un tocco croccante e insolito. Come in questo piatto di pasta e zucchine, ma si possono aggiungere anche nell’impasto del pane, o versarli sulle bruschettine spalmate di salsine morbide (patè o formaggi cremosi).
A volte ignoriamo completamente certe cose, altre volte invece non le vogliamo proprio prendere in considerazione. La curiosità restringe entrambe le situazioni: spinge ad una conoscenza sempre più approfondita sulle cose e induce ad allungare lo sguardo (o le papille gustative) fin dove non avremmo mai pensato di poter arrivare...questo per dire che i semini non sono cibo per gli uccellini, ma fanno parecchio bene anche a noi...e cmq, al di là della funzione nutrizionale positiva, sono proprio sfiziosi! 


Ingredienti:
-       Pasta trafilata al bronzo o di kamutt (o pasta che più gradite)
-       Zucchina
-       Un cucchiaio di formaggio cremoso
-       Una manciata di semini misti
-       Scalogno, olio, sale (e pepe a scelta)


Intanto che aspettate che bolle l’acqua per la pasta, preparate il condimento: fate rosolare in padella con filo d’olio qualche fettina di scalogno, aggiungete la zucchina tagliata a pezzetti, salate, aggiungete un pò d’acqua e fate cuocere (una decina di minuti).
Aggiungete poi un cucchiaio di formaggio cremoso e amalgamate, aggiungendo eventualmente altra acqua di cottura della pasta.
Quando la pasta sarà cotta, saltatela in padella con le zucchine (aggiungendo una spolverata di pepe, se gradite) e come ultimo tocco una bella manciata di semini misti. Amalgamate per bene e gustatevela...;-)





martedì 25 settembre 2012

FLASHBACK POST VACANZE...


Una foto (tra le tante scattate ed autoscattate...) dove sono racchiuse tutte le sensazioni meravigliose della mia recente vacanza itinerante...una vacanza “coast to coast” come l’ho definita ironicamente, da Roma a Como, passando per la Liguria, l’Emilia Romagna, la Toscana.
Ho visto posti splendidi, ho assistito a scene indimenticabili, ho provato e condiviso emozioni intense.
Laghi, mari, scogli, vicoli, piazze, centri storici, piatti tipici, tramonti, cieli azzurri o stellati, colazioni da re, pranzi “sciuè sciuè” e cene gustose, oasi di pace, silenzi, rumori, balli, la natura, la gente, la passione che muove la gente, la gentilezza di chi ti accoglie come ospite più che come cliente, l’abbraccio della famiglia, i saluti degli amici, le strette di mano.
Il senso del viaggio si manifesta già lungo il tragitto. E allora che sensazione di rilassatezza partire, far scorrere i kilometri e vedere cambiare i paesaggi dal finestrino della macchina! E poi fermarsi all’autogrill per un caffè, una sosta al bagno e un’occhiata ai gadgets (sempre quelli, in tutti gli autogrill....) un pò ironici (quest’estate andava per la maggiore un maialino che schiacciandolo, emetteva il suo tipico verso...) e un pò mangerecci (sono stata incuriosita da una confezione di tagliolini trafilati al bronzo al gusto di limone che facevano bella mostra negli scaffali dei prodotti artigianali).
Scorrono i cartelli...finisce il Lazio, inizia la Toscana, un pò di pioggia ed eccoci in Liguria.
Mettersi a salire su per la montagna e lì, nascosto tra le colline liguri, ecco il nostro agriturismo.
Un angolo di paradiso verde, dove lo sguardo può perdersi tra gli alberi e finalmente distendersi dopo aver visto per troppo tempo solo macchine, semafori, gente, palazzi(www.locandadelpapa.com).

E da lì partire alla scoperta di Portovenere, sostare nella banchina del porto, perdersi tra i carruggi colorati, entrare nelle botteghe, rimanere estasiati davanti allo spettacolo a cui si assiste visitando le Grotte di Byron.

E il giorno dopo macinare kilometri a piedi per visitare le Cinque Terre (Riomaggiore, Manarola, Corniglia Vernazza, Monterosso)...appena in tempo, visto il tragico episodio capitato ieri proprio lungo quel tragitto.

Dopo aver assaggiato i panigacci e riempito i nostri occhi di scorci e di paesaggi si è ripartiti alla volta di Como.
Como è la mia città, ma è sempre bello scoprirne nuovi angoli, passeggiare per i vicoli che, vissuti ora, mi sembrano diversi di quelli dove sono passata mille e mille volte.
Quanto aveva ragione Proust scrivendo “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi”.
I miei occhi scoprono ora una cittadina suggestiva, il fascino di navigare su un lago che sembra non avere confini, scopro la suggestione dei vicoletti di Bellagio, la spiaggetta di Lenno, le ville incastonate nel verde, una pizzeria che sforna deliziose pizze al Kamutt (http://www.ristorantealsalice.com/), un faro infestato da formiche volanti (ahimè...) ma che anche dall’esterno è in grado di sedurmi per la svettante maestosità.
Ovviamente è l’abbraccio familiare quello più caldo, confortante, ossigenante, superiore anche a quello delle montagne o dei rami, seppur lunghi e conturbanti, del lago. Quell’abbraccio è in grado di stringersi attorno a ciò che sono stata, a ciò che sono, di spingersi fino al nucleo dove sono impresse le mie orme più profonde.
Il viaggio di ritorno non può esaurirsi senza qualche altra sosta interessante. E allora eccoci a Montieri, in provincia di Grosseto. Ad ospitarci, questa volta, un agriturismo incastonato in un bosco, da dove ho potuto ammirare uno dei cieli stellati più suggestivi(http://www.hotel-toscana-tuscany.com/).
E da ultimo, ma non certo come ordine di importanza e di emozione, una visita improvvisata ed istintiva ad un vero monastero zen (decisa lì per lì, all’imbocco autostradale). Il cartello suggeriva l’uscita per Berceto, e noi abbiamo accolto l’invito che premeva dentro ai nostri cuori, indicandoci proprio quella direzione.(http://www.monasterozen.it/it/sanbo-ji-eremo-di-montagna.html).
Non dimenticherò mai la sensazione di pace interiore respirata camminando in quel giardino o quando il monaco Koren ha aperto la porta della sala dedicata alla meditazione. Mi sembra di sentire ancora il suono armonioso di quel silenzio, di percepire quel vuoto pieno di sensazioni profonde.
Questo status comunque non può esaurirsi con la fine di un viaggio, qualunque sia stata la sua meta.
È sopratutto nella quotidianità del vivere che bisogna esercitarsi a mantenere uno sguardo sempre acceso, vigile, ogni volta diverso, eppure uguale nella sua intensità. E’ allora che il nostro viaggio non avrà bisogno di nessun biglietto di ritorno, perchè la nostra mente sarà sempre in posti nuovi, in quei luoghi che sapremo coltivare dentro la nostra anima.
E perché i momenti sereni non finiscano con la chiusura degli ombrelloni o con lo sbiadirsi della tintarella è fondamentale costruire, giorno per giorno, non solo durante l’atmosfera vacanziera, già di per sè rilassata, con il/la/i proprio/a/i compagno/a/i di viaggio quella autenticità e complicità che fanno la differenza!


lunedì 20 agosto 2012

PORTARE IN VIAGGIO IL PROPRIO SGUARDO...

…tempo di ferie, di feste e di sagre, di gite mordi e fuggi, di vestiti comodi e di bibite fresche…tempo di sole rovente, di notti stellate, di spiagge affollate e di prati occupati…ognuno può indossare l’idea di vacanza che preferisce.
Per me “vacanza” è anche solo poter passeggiare per i vicoli di una cittadina prima sconosciuta, fermarsi a mangiare in una trattoria tipica, affacciarsi su un ponte, portare il proprio sguardo sulla cima di una montagna o nel mezzo di una distesa di acqua marina…persino fare sosta in un autogrill racchiude per me quel certo fascino del sentirsi in vacanza…
Proust scrisse "Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre....... ma nell'avere nuovi occhi".…una nuova terra non deve essere necessariamente un luogo rinomato, trendy per regalarci un’esperienza. E’ il nostro approccio a rendere l’ordinario qualcosa di straordinario.
Anche un borgo antico, una piccola cittadina senza strutture avveniristiche può regalare emozioni. Dipende sempre da una sola condizione che deve essere presente per trarre, da ogni viaggio, un arricchimento interiore: la curiosità. Per il mondo, per la vita, per i luoghi. Ogni cosa, ogni luogo, ogni istante, anche il più banale (in apparenza…), ha qualcosa da dirci, da darci.
Ma a sta noi saperlo cogliere.
Ho scelto due flash back del mio assaggio vacanziero: uno è un piatto di strengozzi zucchine e salsicce (gustate alla Trattoria “Da Antonietta” di Rieti, che consiglio vivamente per la genuinità dei piatti e l’atmosfera “casalinga” che vi si respira)



e l’altro è un panorama che parla da solo.


Il verde disegna armonia nello spazio e i monti sussurrano, tra lo scampanellio dei pascoli e il fruscio del vento, una semplice verità: la natura custodisce le nostre emozioni più antiche e profonde. E ogni volta che la onoriamo, lei è in grado di “restituircele” sotto forma di gioia dello spirito.  
Le ricette “home made” possono aspettare. Ora è tempo di andare in giro a cercare “ispirazioni”…avrò tempo e modo per trasferirle poi nel mio piatto ;-)
La cucina non è solo uno spazio dove far circolare cibo, è un luogo dove liberare la fantasia e questa, per alimentarsi, ha bisogno di compiere viaggi di continua scoperta.

mercoledì 1 agosto 2012

LA FELICITA' TRA LE PIEGHE DI UN CROISSANT....



La felicità è fatta di piccole cose, risiede nel sorriso stimolato da uno sguardo d’amore, nei viaggi che ti portano a scoprire cosa c’è oltre la tua siepe, nelle conversazioni interessanti e costruttive con gli amici, nella mano che ti accarezza, in una poesia che qualcuno ti dedica, in una foto che ti ricorda un istante in cui tutto è stato perfetto e completo, in una riflessione che ti sgorga spontanea rivelando una consapevolezza finalmente acquisita, in un risveglio reso dolce da un bacio scambiato sul cuscino, in una colazione rilassata e consumata senza sguardo alle lancette dell’orologio…e poi…la felicità…è anche dentro quella soddisfazione che capita di provare quando si sforna una creazione per la quale hai accuratamente mescolato nella ciotola, insieme agli ingredienti, anche un’ autentica passione e pensieri dolci, più dolci dello zucchero impiegato per caramellare…
La vita sono istanti di semplice e carezzevole “presenza”, messi uno dietro l’altro finchè diventano la quotidianità… quando non vorresti trovarti in nessun posto diverso da dove ti trovi e con nessun’altra/e persona/e diversa da quella/e che eventualmente hai accanto proprio nel momento in cui ti stai accorgendo di essere presente, e di esserci davvero, non solo con il corpo, ma anche con lo spirito.
Il resto è sopravvivenza. Il resto sono immagini di copertura di quel film in cui il protagonista sei tu.
Bisognerebbe cercare di limitare al massimo quegli eventi di margine, a vantaggio dello svolgersi della pellicola nella sua parte centrale, quella che conta, quella in cui c’è la sostanza della storia.
Tagliare man mano ciò che non ci appartiene e che non fa altro che appesantire il racconto e la nostra mente, rendere l’immaginato possibile e lasciar andare l’impossibile…o meglio ciò che è tale perché magari frutto di un capriccio o non funzionale, evidentemente, alla nostra evoluzione.
Adesso, per alleggerire un po’ il discorso…spargiamo nell’aria un po’ di farina, zucchero e profumo di vaniglia…e andiamo a preparare dei golosi cornetti sfogliati…vi avviso ci vuole un po’ di tempo…ma il risultato…eh bhe…il risultato ripaga della scrupolosa preparazione!!
Mi sono ispirata alla ricetta di  Anice e Cannella che è strepitosa quanto all’illustrazione fotografica della ricetta….  (http://www.aniceecannella.blogspot.it/search/label/Cornetti%20del%20bar ), apportando qualche piccola modifica. Ecco la mia versione...e il mio risultato...


Ingredienti:

-       500 gr di farina (io usato 250 gr di farina manitoba e 250 gr di farina di Kamutt)
-       80 gr di zucchero di canna
-       70 gr di burro
-       Un pizzico di sale
-       2 uova
-       1 bustina di vanillina
-       la buccia grattugiata di un limone
-       120 ml circa di acqua
-       mezzo panetto di lievito di birra fresco

Per le sfogliature: circa 200 gr di burro

La sera prima sciogliete il lievito di birra nell’acqua.
Mescolate le due farine.
Versarne in una ciotola i 2/3 circa, aggiungere l’acqua (quella dove avete sciolto il lievito) e iniziate ad impastare. Aggiungere 1 uovo e impastate. Aggiungete l’altro uovo, il resto della farina (tranne un paio di cucchiai) e lo zucchero.
A questo punto, impastate bene sulla spianatoia per circa 10 minuti. Dovete ottenere un impasto compatto ed elastico.
Aggiungete il pizzico di sale, il burro morbido a pezzetti, la buccia di limone, la vanillina e la farina avanzata.
Rimpastate con energia fino a che non risulti tutto amalgamato.
Porre l’impasto nella ciotola, coprire con la pellicola e lasciatelo in frigorifero per tutta la notte.
Al mattino, tirare fuori la ciotola.
Mettete il burro (quello per le sfogliature) tra due panni bagnati e strizzati e lasciatelo così per una ventina di minuti.
Poi seguite queste 4 fasi:
A)           prendete l’impasto, stendetelo a formare un quadrato. Modellate anche il burro in modo da ottenere un cubo regolare e posizionatelo sul quadrato di impasto, lasciando liberi i 4 bordi.
B)           Sollevate i 4 bordi (uno alla volta) sull’impasto.
C)           Ripiegarli sul borro coprendo interamente e fissandoli come a formare un pacchetto

Ora seguite queste altre 4 fasi (che dovrete poi ripetere per 3 volte, alla distanza di venti/trenta minuti una dall’altra, per fare le sfogliature):
I SFOGLIATURA

1.      versate della farina sul piano di lavoro e il pacchetto di pasta e burro e spianatelo col mattarello a formare un rettangolo  (circa 8 mm di spessore)
2.      ripiegare sul centro la parte più vicina a voi e premetela leggermente
3.      piegare sopra l’altro lato (quello superiore) e passarvi il mattarello
4.      si ottiene un nuovo rettangolo; girate in modo che il dorso  si trovi alla vostra sinistra

5. Coprite il panetto con la pellicola e mettete in frigo per 20/30 minuti.
Poi tirate fuori e rifate la procedura di cui ai punti 1,2,3,4 e 5. (II sfogliatura)
Poi rimettete in frigo per altri 20/30 minuti.
Tirate fuori e rifate la procedura (III sfogliatura)
Riporre in frigo per altri 30 minuti.
A questo punto stendete un rettangolo lungo e stretto (8 mm).
Tagliate dei triangoli con la base di circa 8/10 cm.
Fate un taglietto di 1 cm al centro della base.
Poi formate i cornetti, arrotolando, partendo dalla base verso la punta e tenendo largo il taglio. Poi finito di arrotolare, curvate delicatamente le punte laterali verso di voi.
Disponete i cornetti sulla placca da forno rivestita di carta da forno, coprite con la pellicola e lasciare ancora lievitare per 2 ore e 45’.
Poi pennellateli con l’uovo sbattuto, spolverizzateli di zucchero e infornate per circa 6 minuti a forno caldo a 200° e per altri 8/10 minuti a 180° o comunque fino a doratura. 
Una bella fatica…ma ne vale la pena!!!